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Quello che ti avrei detto

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Avessi potuto, Te lo avrei detto, che capita di percepirsi, sotto la pelle. Che le parole sono accessori, Che ci si può guardare con la pancia, con le terminazioni nervose. Te lo avrei scritto su un pezzo di carta, di quelli strappati, dai contorni irregolari. Ti avrei baciato sulla bocca i segreti che conosco. I passaggi chimici, quelli che non succedono mai e che sono successi stavolta. Se avessi potuto avrei passato le dita, aperte, sui capelli che non ci hanno creduto. Sul collo che non ha tentato, Sul petto che non ha seguito il verso. Questo. Potendo...

Un'altra estate

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L'esercizio sfiancante del ripensare alle cose. Così torno a quell'estate. Cerco di convincere le braccia a sentire lo stesso sole di allora. Poi il treno perso e la notte alla stazione. Durante il viaggio in corriera mi ero addormentato. Mi hai svegliato tu. È un macchinario strano, il cervello. Quel giorno scattò una specie di fotografia. Di quelle seppia, dai contorni leggermente sfumati. Poi ti ho incontrata in paese. Monticello era un gruppo di case e persone e aria fresca. Il resto dello spazio lo riempivi tu.  Mi viene da sorridere perché oggi so che si può volere una persona al punto tale che il mondo diventa una cornice. Allora non lo capivo e mi disorientava. Poi i baci.  E li contavo per paura di dimenticarli: uno, due, tre.  Non so di preciso a quanti arrivammo, poi partii. Ancora un'estate. E qualche piccolo progetto. Piccolo come eravamo noi. Poi arriva la vita a sparecchiare, con le mani forti come quelle di mia madre. Tu sposi un altro.  Come succede spesso

Mamma

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Perché sei l'assenza del freddo, la privazione della paura. Perché sei l'amore senza condizioni, Il respiro di trentasei anni fa e quello di adesso. Perché sei le braccia dove è la mia casa, Il cuore che ho sentito battere prima del mio,  tutta la musica che ho ascoltato. Sei tutto quello di cui ho avuto bisogno. E tutti i baci che non riesco a darti, li conservo. Perché sono tuoi,  e anche il mio amore, e anche io. A mia madre Da suo figlio

Ventidue ore

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Ce l'ho ancora nel portafoglio, la foto. Sono passati ventisei anni e le macerie ci sono ancora. Non nelle strade, a quelle hanno pensato. Le macerie sono dentro le persone. Appena ho potuto sono andato via, in Europa. La speranza per me ha la forma delle mani. Qualcosa che ti prende e dal basso ti porta in alto, dal buio alla luce. E c'è la fede. L'ho cercata da sempre, da bambino, poi da adolescente. L'ho cercata nei testi sacri, nei Veda, nel Buddha, nel Corano. Poi ho capito che in realtà è tutto in questa foto, che lascerò ai miei figli, e chiederò loro di lasciarla ai propri. In questa foto c'è il mistero della mia vita. Il miracolo assurdo della mia sopravvivenza. E c'è anche la fede. Perché io l'ho trovata lì, in quelle mani a coppa, in quelle persone. E allora è una religione senza libri la mia. Perché credo nelle persone. Mi chiamo Āśā, che in Hindi significa Speranza. E sono io quel bambino salvato dal terremoto.

DILE(I)MMA

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Non ti vorrei 
povera di noi/ benché, 
dipinto d’arte/  
del tuo femminile/ affrescherei la volta al cielo./ Che presunzione 
vesto/ se mille triclini merlettati  
ti avrebbero 
semisdraiata sui loro cuscini/ Come me stesso adoro 
chi non priverei degli occhi che mi guardano allo specchio/ La mia assenza di broccato rosso 
contro il mondo/  
a te la scelta.. 


Il Bar pittore

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“ Quel bar chiude presto la sera, ti dico; ci passo ma non riesco mai a trovarlo aperto. Non che  ci prenderei un caffè,  però… “Però cosa?  mi dici, ed è un anno  che non ci vediamo. ” Però, ”  dico,  “ magari se lo vedessi aperto mi fermerei; così,  giusto per dare un ’ occhiata. ”     Sorridi. Ci sediamo. Questa città ci ha fatto un brutto scherzo , penso mentre ti osservo accendere una sigaretta leggera. Fumi spedita adesso eh?  m i viene voglia  di   dire. Sorridi ancora ed è come le altre volte. “Non sei cambiato , ”  m i  dici  e mi tocchi la barba per scherzare. “ Pensavo, ”  ti dico,  “ a quanto poteva piovere quel giorno. ” “Quale giorno?”, mi dici  mente sistemi una ciocca di capelli dietro l ’ orecchio, un gesto che ti ho visto fare almeno mille volte.  Mi giro a guardare la gente che scende le scale. Mi prendi le mani: “Dai, quale giorno?” Sei vestita elegante ,   n on  troppo ma abbastanza per farmi riconsiderare lo strappo sui miei jeans. Ti si vede il reggiseno tra i bo

Lenzuola

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Fruscii, che sono come le carezze. Gocce di lingua, sanno di sale e piogge. Ti sarei lenzuola, e seta e vento leggero tra le insenature. Ti sarei mani che scostano capelli, e indici che seguono percorsi di te. Geografie di corpi. Perché di notte i corpi sono come sogni, perdono consistenza. E allora sarà sognare, e poi svegliarsi. E albe, e voglie sfatte come le lenzuola. E bianche. E fumo in rivoli. E acqua in rivoli, sulla tua schiena. E me.  A bere, quel sale che è della tua terra. E tu, che intrecci le caviglie. Certi sospiri sono come gli angeli. E cotone aggrovigliato, e cose bagnate, e cose che sorridono, e bocche che gemono. Poi il sole. Coi raggi che scrutano. Allora ti nasconderei, addome sulla schiena  Per rubarti alla luce.